giovedì 11 novembre 2010

Donazioni Samaritane e trapianti: il parere della Dott.ssa Josephine G. Morana

Abbiamo il piacere di pubblicare l'intervista che la Dott.ssa Josephine G. Morana, responsabile del dipartimento di Psicologia Clinica dell'ISMETT, ha rilasciato all'AIDO. L'intervista è stata inserita all'interno della newsletter "L'Arcobaleno" (n. 2/2010). E' possibile scaricare il numero completo qui.

Abbiamo chiesto al Direttore del Dipartimento di Psicologia dell’ISMETT – Istituto Mediterraneo per i Trapianti e le Terapie ad alta Specializzazione - dottoressa Josephine G. Morana, un suo parere sul recente fenomeno delle “donazioni samaritane”. Dottoressa Morana, di cosa si occupa esattamente?

All’interno dell’ISMETT dirigo il Dipartimento di Psicologia che ha il compito di eseguire una valutazione dei pazienti in attesa di organi solidi, per stabilirne l’idoneità o per pianificare interventi di supporto. Queste valutazioni vengono eseguite rispettando le Linee Guida emanate dal Ministero della Salute, alla stesura delle quali ho partecipato, nel 2001, quando Nanni Costa mi chiamò a far parte della Commissione. Il suo Dipartimento esegue pure le valutazioni psicologiche nei casi di donazione da vivente, se non sbaglio. Certamente, e quelli sono i casi più complessi: mentre nel caso di un paziente in attesa di trapianto noi ci troviamo di fronte a una persona che sta male, a volte è in fin di vita, e che dovrà subire un intervento per ritrovare la salute, cioè per star bene, nel caso di un donatore vivente la situazione è capovolta: una persona in perfetto stato di salute dovrà subire un intervento che comporta dei rischi, e perfino una mutilazione. Come si può capire qui entrano in gioco anche considerazioni di carattere etico, morale: una persona dovrà sacrificarsi per dare la salute, la vita, a un’altra. Quali fattori prendete in esame? L’aspetto fondamentale da prendere in considerazione è, necessariamente, la relazione donatore-ricevente, ma non si deve trascurare il contesto più allargato. Per esempio fenomeni di coercizione, non necessariamente evidenti, possono avvenire all’interno della famiglia dove, in alcuni casi, il donatore si trova “costretto” ad offrirsi a causa di pressioni e ricatti psicologici difficili da sostenere senza un supporto esterno. Per noi operatori è estremamente importante quindi comprendere se l’offerta di donazione è davvero libera e spontanea. Dobbiamo prendere in esame le motivazioni, anche le più nascoste, per comprendere qual è il “ricavo” per il donatore: in alcuni casi potrebbe essere semplicemente il desiderio di far star bene la persona cara, o di sentirsi importante,“ eroico”; ma ci potrebbero essere anche situazioni di relazioni negative tra donatore e ricevente: in questi casi il donatore spera di recuperare, col suo gesto, il rapporto. È bene aiutare la persona che si offre per donare un organo a riconoscere ed elaborare le motivazioni che guidano il suo gesto, anche per evitare successive delusioni nelle aspettative, che sarebbero psicologicamente difficili da accettare. Quanto i donatori sono in grado di prevedere come vivranno il momento successivo all’intervento? Anche questo è un aspetto da non trascurare. Ed è importante per noi preparare il donatore. Per esempio non è infrequente, soprattutto fra i giovani, la difficoltà ad accettare la cicatrice. Ci sono casi in cui è il partner ad avere problemi di accettazione del segno dell’operazione, soprattutto in quei casi in cui la ferita è molto grande. È fondamentale quindi che nella scelta si coinvolga la coppia, cioè il partner della persona che si offre di donare, e che si aiutino entrambi a elaborare, insieme, la decisione.Anche perché può succedere che il marito, la moglie, il compagno abbiano paure, che temano i rischi connessi all’intervento; soprattutto quando ci sono figli, ci può essere forte il timore che l’operazione possa andare male e che i bambini restino soli.Può accadere che il donatore si trovi stretto tra il desiderio di aiutare una persona cara da una parte, e le paure e le resistenze del suo partner dall’altra: una di quelle situazioni in cui è difficile trovare una via d’uscita. E in tutto questo si possono inserire problemi preesistenti della coppia, che trovano in questi momenti l’occasione per emergere. Insomma un lavoro di elaborazione delle motivazioni e di supporto alla decisione estremamente complesso e impegnativo. Immagino sia impegnativo anche dal punto di vista del coinvolgimento psicologico anche per voi operatori. Certamente sì. Naturalmente un professionista deve essere in grado di affrontare certe situazioni, ma in alcuni casi le difficoltà sono maggiori. Per esempio, nel nostro dipartimento abbiamo organizzato il lavoro facendo in modo che l’operatore che lavora col ricevente - a contatto con le sue aspettative, le sue sofferenze, la sua paura della morte – non sia lo stesso che lavora col donatore, che invece deve fare i conti con paure e problematiche molto diverse e, come abbiamo visto, spesso opposte. Alla luce delle considerazioni appena fatte, come vede il fenomeno dei “donatori samaritani”? Se le devo dire la verità non ho ancora voluto pensarci. Le confesso che quando ho sentito la notizia ho avuto un brivido: è talmente difficile valutare un parente donatore, figuriamoci un “samaritano”! Ma come può succedere che una persona si alzi un giorno e dica: - voglio donare un organo a uno sconosciuto. - ? Quali spinte psicologiche potrebbero star dietro a una scelta come questa? La prima risposta che mi viene in mente è ... una psicopatologia. Ma certamente non c’è solo questo. Nei casi di donazione da vivente, e questo ne è un particolare caso, bisogna chiedersi qual è il ricavo: in ogni situazione di dare e avere c’è sempre un ricavo anche per chi dà. Nel caso del donatore parente c’è il legame affettivo, la consapevolezza della persona cara che soffre. Oltre, naturalmente, a tutte le altre implicazioni di cui abbiamo parlato. Nel “donatore samaritano” quale potrebbe essere la spinta? Il “donatore samaritano” potrebbe essere una persona non contenta di se stessa che, con questo gesto, vorrebbe dare un valore alla sua vita; potrebbe essere spinta dalla voglia di sentirsi “eroico”, dal desiderio di fare qualcosa di eccezionale. Come potrebbe essere invece semplicemente una persona spinta dalla voglia di aiutare gli altri, senza un ricavo secondario da questo gesto. È importante la valutazione del ricavo: il bilancio del dare e avere. Quindi importantissima la valutazione psicologica del donatore anche in questo caso. Soprattutto in questo caso.

Pubblished online by Francesco Greco
Leggi tutto...

lunedì 8 novembre 2010

Analisi delle aspettative e delle credenze nei pazienti con patologie alcool correlate

Da un punto di vista cognitivo si è potuto evidenziare il ruolo delle aspettative e delle credenze degli individui rispetto all’influenza di questi su una vasta gamma di comportamenti. Spesso tale influenza si estende alle caratteristiche peculiari degli stili di vita individuali e al consumo di sostanze. Per quel che concerne l’attività di valutazione psicologica in area trapianti è chiaro che il monitoraggio e la valutazione in pazienti con diagnosi di patologie alcool-correlate (cirrosi epatica ad esempio) rappresenti una attività delicata e allo stesso tempo strategica. Il nostro obiettivo, in accordo con le linee guida e ai protocolli attuali, concerne la verifica dell’idoneità del paziente al trapianto, ove l’abuso di alcool rappresenti una controindicazione al trapianto stesso. Considerate tali premesse è di fondamentale importanza la conoscenza della storia personale del paziente e soprattutto le modalità con cui l’abuso di alcool si è via via inserito all’interno delle sue modalità comportamentali modificandone così il funzionamento e divendando poi una dipendenza. Ai fini di una conoscenza approfondita appare utile concentrarsi anche sulle modalità di pensiero del paziente collegate all’abuso. Esiste effettivamente uno stile cognitivo che è caratterizzato da aspettative e credenze specifiche circa l’assunzione di alcool. Molte ricerche hanno evidenziato in particolare l’influenza di tali aspettative e credenze sulle modalità di mantenimento dell’abuso, caratterizzandole quindi come fattori di rischio. Tali aspetti si aggiungerebbero a quelli di ordine neurobiologico (si pensi all’influenza dell’alcool sul cosiddetto “circuito della ricompensa”). Più in particolare gli studi più recenti (Spada e Wells, 2005; 2006; 2008) hanno evidenziato l’influenza delle credenze metacognitive per quel che concerne il mantenimento delle patologie alcool correlate. Le credenze concernono le informazioni che le persone hanno di se stesse in merito agli stati mentali interni e alle strategie di autoregolazione (Wells, 2000). In tal senso è possibile ipotizzare che la regolazione degli stati interni negativi possa rappresentare una motivazione importante all’assunzione della sostanza. Molto spesso infatti vi è la convinzione che l’alcool possa favorire le capacità di problem solving nonchè quelle connesse al controllo dei pensieri e alla regolazione delle capacità attentive. Tali credenze potrebbero indicare pertanto una sostanziale mancanza di fiducia dei soggetti circa le proprie capacità di efficienza cognitiva, sia per quel che concerne le attività di coping che le attività di regolazione degli stati interni. E questo rappresenterebbe in ultima istanza un . fattore di rischio ed un possibile predittore del consumo di alcool Queste evidenze sono molto interessanti, anche e soprattutto per quel che concerne la pratica clinica.

Pubblished online by Francesco Greco
Leggi tutto...

martedì 13 luglio 2010

Assessment psicologico e biofeedback: l’importanza strategica dei nuovi strumenti a disposizione in area trapianti d’organo

E’ sempre utile sottolineare l’importanza dell’assessment psicologico. Sarebbe improbabile, almeno per quel che concerne la terapia cognitivo comportamentale, immaginare un lavoro strutturato con il paziente senza prevedere una fase iniziale di assessment. L'assessment psicologico si basa su alcuni criteri di base, ossia su regole che in un certo senso lo caratterizzano, anche se sono possibili numerose varianti che tengono conto di diversi e specifici quadri clinici. Oggi, considerato l’interesse crescente per le neuroscienze, abbiamo a disposizione strumenti nuovi che possono essere d'aiuto nella fase di assessment. Uno strumento di assessment che consente una analisi dettagliata delle funzioni fisiologiche e biopsichiche è rappresentato dal biofeedback. Questo riesce a registrare in tempo reale una serie di risposte fisiologiche dell'organismo e a trasformarle in segnali specifici e codificati, che possono essere visivi o acustici. Il punto è che nel momento in cui l'informazione viene codificata consente al paziente di "verificare" la conseguenza diretta di un suo stato interno e di "apprendere", sfruttando appunto questo feedback, un nuovo comportamento obiettivo. La risposta di attivazione fisiologica indica per così dire il livello attribuibile a un certo stato interno emotivo, rendendola quantificabile quindi in termini accurati. I dati delle misurazioni iniziali costituiscono il livello basale del soggetto, denominato baseline (si misurano ad esempio il ritmo cardiaco e la tensione muscolare, nonché la temperatura cutanea). Da un punto di vista clinico : ansia, attacchi di panico, fobie, depressione, problematiche cardiovascolari e muscolari sono solo alcune delle applicazioni terapeutiche del biofeedback. Da questo punto di vista l’utilizzo del biofeedback (o neurofeedback) si rende particolarmente utile per lo psicologo clinico che operi in contesti complessi quali quelli ospedalieri. In particolare lo strumento trova un naturale impiego nell’attività del servizio di psicologia clinica dell’Ismett. Periodi di lunga ospedalizzazione, nonché la degenza durante le fasi post operatorie rappresentano spesso momenti difficili da superare, ove i pazienti devono impegnarsi nella costruzione di un nuovo percorso di vita con nuovi vissuti e nuove percezioni di se e del proprio stato di salute. Spesso infatti l’ospedalizzazione o l’essere in attesa di un intervento chirurgico complesso quale il trapianto d’organo può generare un livello notevole di ansia/depressione nei pazienti, i quali possono essere “guidati” proprio in un processo di consapevolezza degli stati interni attraverso il biofeedback e l’analisi delle variabili fisiologiche. Questa costellazione iniziale di indici fisiologici può differire da soggetto a soggetto e fornisce indicazioni interessanti e obiettive per sviluppare piani terapeutici mirati all’implementazione di terapie “personalizzate”. Ciò costituisce quindi la base per una accurata psicodiagnosi iniziale, ove la baseline e il livello di reattività del soggetto agli stressors ambientali rappresentano informazioni di indubbio valore.

Dott. Josephine G. Morana Responsabile U.O. Servizio Psicologia Clinica Ismett

Dott. Francesco Greco Resident Psychology

Leggi tutto...

mercoledì 26 maggio 2010

Aspetti psicologici del trapianto d'organo: previsto un Simposio all'interno del IX Congresso della Società Italiana di Psicologia della salute

E' previsto per il 23 24 e 25 Settembre 2010 a Bergamo il IX Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicologia della Salute (SIPSA) che avrà per titolo: "La psicologia della salute tra ricerca e intervento nei servizi sociosanitari, nella comunità, nei luoghi di lavoro e nella scuola". Un appuntamento scientifico molto interessante, visto che consente un proficuo confronto delle conoscenze acquisite dai ricercatori e dagli studiosi che si occupano di psicologia della salute. In particolare sarà il tema della promozione della salute a costituire il nucleo centrale del congresso, con una analisi approfondita e un approccio di tipo biopsicosociale. Tale approccio può essere ritenuto senza dubbio strategico, proprio perché concerne una modalità globale e integrata che tiene conto appunto degli aspetti biologici, psicologici e sociali. Tra le varie aree tematiche del convegno ricordiamo: La psicologia della salute in ospedale, Bioetica e psicologia della salute, Psicologia e promozione della salute nelle scuole, nei servizi e nel territorio. Per quel che concerne gli aspetti propriamente legati alla psicotrapiantologia e al mondo dei trapianti d’organo è utile ricordare che la nostra Dott.ssa Josephine G. Morana, responsabile dell’U.O. del servizio di Psicologia Clinica dell’ISMETT, e’ stata individuata come professionista delegata all’organizzazione di un simposio, all’interno del quale verrà offerta possibilità di presentazione a specialisti del settore su tematiche concernenti: “Aspetti Psicologici del Trapianto Pediatrico“, “Aspetti Psicologici sul Trapianto di Fegato da Donatore Vivente” ; “Aspetti Etico-Legali Relativi al Trapianto” e “Interventi sulle Famiglie, sul Territorio e sull'Equipe Multidisciplinare Nell’ambito Trapianti” .

Dott. Francesco Greco
ISMETT Resident Psychology
Leggi tutto...

martedì 23 marzo 2010

Progettare l'attività e la ricerca psicologico-psichiatrica in area donazione e trapianto d'organi

Si é tenuto a Roma Il 19 Marzo 2010 presso l'aula Bovet dell'Istituto Superiore di Sanità il workshop della S.I.PSI.T.O. (Società Italiana Psicologia e Psichiatria Trapianti d'Organo) dal titolo: "Progettare l'attività e la ricerca psicologico-psichiatrica in area donazione e trapianto d'organi". L'evento, organizzato da ISMETT, FITOT e CNT, é stato caratterizzato da un nutrito programma che ha coinvolto, tra gli altri, la dott.ssa J. Morana, responsabile dell'U.O. del Servizio di Psicologia Clinica dell'ISMETT con i contributi: "Da Nord a Sud: realtà e bisogni emergenti" e "Lavorare in rete: la parola ai soci. Discussione ed elaborazione di un progetto in rete".La giornata di studio si é poi conclusa focalizzando l'attenzione sul tema della ricerca, con la presentazione dei progetti di ricerca S.I.PSI.T.O.

Dott. Francesco Greco
Ismett Psychology Resident
Leggi tutto...

venerdì 5 marzo 2010

Joint Commission International: Ismett riceve l'accreditamento. E' il primo ospedale del Sud Italia a ricevere il riconoscimento

L’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) di Palermo ha ricevuto l’accreditamento della Joint Commission International (JCI). La JCI risponde alla necessità delle organizzazioni sanitarie di confrontare la propria performance con standard ben definiti, accettati internazionalmente e creati secondo il principio della centralità del paziente. Una commissione della JCI ha quindi sottoposto a verifica il modello organizzativo e l’operatività di ISMETT durante una visita, durata 4 giorni, lo scorso mese di novembre. Nel corso di questa visita i tecnici della JCI hanno verificato “sul campo” la rispondenza delle attività quotidiane di ISMETT ai 323 standard di qualità che Joint Commission ha definito nel corso dei suoi oltre 50 anni di attività. Tali standard sono basati sul principio che la sicurezza e la qualità delle cure prestate al singolo paziente sono il risultato di come l’intero ospedale – a partire da struttura e attrezzature fino al lavoro di tutto il personale – è organizzato e gestito quotidianamente. “Abbiamo voluto sottoporci volontariamente alla valutazione della JCI, una entità non-profit, indipendente e la cui autorevolezza è internazionalmente riconosciuta, in primo luogo per verificare noi stessi e valutare che il nostro modello organizzativo fosse sicuro e di alta qualità - ha affermato il prof. Bruno Gridelli, Direttore ISMETT – ed in secondo luogo perché i pazienti e il Servizio Sanitario Regionale, di cui siamo parte integrante e sempre più attiva, abbiano contezza di avere a disposizione una struttura di eccellenza.“ I risultati della commissione che ha visitato l’Istituto sono stati poi analizzati negli Stati Uniti dall’organizzazione centrale della Joint Commission e giudicati tali da attribuire lo stato di Ospedale Accreditato JCI a ISMETT. L’accreditamento è il risultato sia del modello di partenariato pubblico-privato - nel quale l’University of Pittsburgh Medical Center (UPMC) fornisce continuamente il proprio know-how in tutti gli aspetti più avanzati della gestione amministrativa e medico-scientifica di centri medici avanzati - che dell’intenso lavoro di preparazione per la valutazione da parte della JCI. Questo lavoro ha coinvolto tutti i lavoratori di ISMETT, i suoi organi direttivi e decisionali, accomunati dall’obiettivo di sempre meglio e sempre di più fornire cure sicure e di qualità ai pazienti. In tutta Italia, hanno fino ad oggi ricevuto l’accreditamento JCI 11 strutture ospedaliere. L’ISMETT è la prima struttura ospedaliera del Sud Italia a ricevere l’importante riconoscimento. L’accreditamento JCI riconosce l’impegno di ISMETT verso un processo di eccellenza della cura ed al miglioramento continuo perseguito in tutti questi anni, sia sul piano dei risultati clinici che sul fronte organizzativo, gestionale, dell’accoglienza e della ricerca avviata in questi anni nei laboratori e nell’Unità di Medicina Rigenerativa e Terapie Cellulari. “E’ un altro importante passo nel cammino di ISMETT – ha aggiunto Gridelli – verso il miglioramento continuo delle cure di alta specializzazione erogate ai pazienti della nostra regione. Tutto l’Istituto, che nasce da un partenariato fra la Regione Siciliana e il centro medico dell’Università di Pittsburgh, continuerà a lavorare con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il suo contributo alla crescita del sistema regionale. A questo proposito, ricordo che ISMETT riceve continuamente pazienti con patologie gravi ed urgenti da ospedali di tutta la regione, contribuisce ogni anno alla formazione di centinaia tra infermieri, medici, tecnici ed amministratori e conduce attività di ricerca clinica e traslazionale in collaborazione con centri regionali, nazionali ed internazionali.” Il riconoscimento JCI garantisce che gli standard di qualità ed i processi siano in linea con quelli offerti da tutti gli ospedali gestiti da UPMC che, negli Stati Uniti e in Irlanda, sono provvisti di tale certificazione. Questo assicura la possibilità di monitorare e confrontare il comportamento rispetto a elevati e comuni standard di cura e di qualità, garantendone la continua attuazione.
Tratto dai comunicati stampa
Leggi tutto...

lunedì 1 marzo 2010

L'aderenza alle cure del paziente dipendente da alcolici

L’esperienza all’ISMETT :
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera l’alcol come una droga, ma forse non tutti sanno che i morti per alcol o per conseguenze ad esso correlate (epilessia alcolica, demenza alcolica, delirium tremens, danni cardiaci, allo stomaco, all’intestino, al fegato, all’apparato rirpoduttivo, tumori, inutilizzo delle gambe) sono maggiori di quelli per overdose. Molte società scientifiche americane, tra cui l’American Academy of Pediatric, hanno constatato che, interventi svolti dai medici di famiglia, si sono dimostrati efficaci nella prevenzione del consumo di alcolici. Dai risultati è emersa la necessità di fornire maggiore formazione e supporto ai medici e alle istituzioni deputate all’educazione degli adolescenti, per esempio, e alla promozione della salute. Un primo passo si può fare partendo dal riconoscere il problema alcolismo come vero e reale, facendo seguire a questo la ricostruzione dei comportamenti, dei valori, degli affetti, in una parola, di tutto ciò che rende piena e significativa la vita; questo presuppone un impegno diretto della persona alcolista, ma richiede altresì che sia presente il coinvolgimento e il sostegno attivo, solidale dei familiari, degli amici e, dato essenziale, il ruolo del medico che opera sul territorio andrebbe formato e potenziato.
L’accoglienza e la valutazione clinica della richiesta d’aiuto: Al di là delle problematiche squisitamente di natura organica, l’etilista ha una componente multiproblematica che assolve aspetti bio-psico-sociali. Per tanto, la condizione di ogni paziente viene valutata con attenzione, evidenziando aree del funzionamento socio-relazionale, utile supporto agli interventi terapeutici. Per tanto, l’intervento terapeutico in ISMETT coinvolge operativamente ed in modo integrato, l’attività di diverse figure professionali: psicologo, epatologo, assistente sociale ecc… In particolare, accanto ai dati anagrafici ed a quelli relativi alla condizione sanitaria, si raccolgono informazioni circa le caratteristiche per durata ed intensità dell’abuso alcolico, l’eventuale concomitanza d’altri abusi di sostanze, la presenza di disturbi della sfera psico-affettiva e mentale, nonché dati circa la situazione familiare, l’attività lavorativa, l’adattamento socio-relazionale.
L’etilista ed il “craving”: Secondo l’interpretazione della scuola comportamentista, orientamento teorico seguito dal Servizio di Psicologia Clinica ISMETT, il “craving”, sarebbe espressione di una risposta condizionata positiva, legata al rinforzo connesso all’uso di etanolo. Sarebbe, dunque, soggetto ai fenomeni propri della risposta condizionata, quali l’estinzione e il rinforzo. Il “craving”, di fatto, rappresenta una grave sofferenza per l’individuo, che teme di non riuscire a controllarsi. Esso, infatti, porta frequentemente alla ricaduta ed alla perdita del controllo nelle modalità di assunzione, per quantità e durata del comportamento d’abuso.
Obiettivi del trattamento :
Nella Nostra esperienza, gli obiettivi del trattamento non vanno fissati rigidamente, ma possono modificarsi in base alle caratteristiche ed alle problematiche dell’individuo, al momento storico dell’evoluzione clinica del suo disturbo, nonché, sulla base delle effettive risorse dell’ambiente, utilizzabili ai fini terapeutici.
L’alcolista e lo psicologo : Nel momento della valutazione psicologica relativa ad un eventuale inserimento in lista d’attesa per trapianto di fegato, e si pone diagnosi di “alcolismo”, lo psicologo deve avere in mente alcuni punti fondamentali che deve chiarire insieme al paziente: 1.Perché la condotta di abuso si è consolidata nel comportamento del paziente. E’ importante sapere il motivo che spinge una persona ad abusare di sostanze alcoliche. C’è una netta differenza tra un paziente che beve per riuscire a gestire i momenti di ansietà o depressione; tra un paziente che beve perché tale condotta si colloca in una struttura di personalità “deviante”; o un paziente che beve perché, nel suo ambiente sociale, la pratica del bere viene considerata un comportamento naturale. Nel momento della valutazione psicologica relativa ad un eventuale inserimento in lista d’attesa per trapianto di fegato, e si pone diagnosi di “alcolismo”, lo psicologo deve avere in mente alcuni punti fondamentali che deve chiarire insieme al paziente:
1. Perché la condotta di abuso si è consolidata nel comportamento del paziente. E’ importante sapere il motivo che spinge una persona ad abusare di sostanze alcoliche. C’è una netta differenza tra un paziente che beve per riuscire a gestire i momenti di ansietà o depressione; tra un paziente che beve perché tale condotta si colloca in una struttura di personalità “deviante”; o un paziente che beve perché, nel suo ambiente sociale, la pratica del bere viene considerata un comportamento naturale.
2. La motivazione che spinge un alcolista ad uscire dal suo problema in ordine ad un eventuale trapianto e’ molto importante che la scelta di smettere di bere sia connessa a delle consapevolezze di base: coscientizzazione del danno epatico correlato alla condotta d’abuso; consapevolezza della necessaria perseveranza nell’astinenza anche nel post-oltx. E’ in quest’ambito che si focalizza il lavoro dello psicologo, tale da indurre il team trapiantologico a prendere visione dell’eventuale idoneità del paziente al trapianto. 3. Il rischio di ricaduta. Purtroppo, è ben noto agli operatori che lavorano in questo campo, l’eventualità che dopo un periodo anche prolungato di astinenza, il paziente ricominci a bere, per diversi motivi. Il pericolo di una ricaduta, purtroppo, è sempre presente ed è impossibile stabilire oggi, con assoluta certezza, cosa succederà domani. Si può soltanto stimare una probabilità di ricaduta, basandosi su alcuni elementi. Un fattore prognostico negativo è, ad esempio, la presenza nella storia anamnestica del paziente, di ripetuti tentativi di smettere, con successiva ripresa del bere.
Gli psicologi, gli alcolisti e il Ser.T. : E' necessario sottolineare che i pazienti alcolisti seguiti attualmente dal Servizio di Psicologia ISMETT, sono piu' di 200. Più della metà di questi ha già effettuato il percorso al SER.T. e hanno iniziato già il w- up pre OLTX. I restanti stanno ancora seguendo il percorso. In questi casi, si stabilisce un contatto diretto con i suddetti Enti esterni in un clima di piena collaborazione.
Ricadute :
Tra i trapiantati per abuso di alcolici,dato il training propedeutico al trapianto, relativamente all'astensione di alcolici, un pazinte ha avuto un'allerta al craving, questo caso, questi ha avuto l’accortezza di contattare il Servizo di psicologia ISMETT che lo ha preso da subito in carico. lo stesso, dopo un preciso assessment è stato ancora una volta inviato al Ser.T. , concludendo il percorso con buon esito terapeutico. In ogni caso, è necessario sottolineare, che tutti i pazienti alcolisti o ex -alcolisti vengono costantemente seguiti, con almeno un incontro al mese.
Dr.ssa Josephine G. Morana Chief Clinical Psychologist Responsabile dei Servizi di Psicologia Clinica UPMC/ISMETT
Dr. Rosario Girgenti Attending Psychologist Servizi di Psicologia Clinica UMPC/ISMETT
Leggi tutto...

domenica 7 febbraio 2010

Lavoro di equipe, ricerca e neuroscienze: momento di alto livello scientifico all’ISMETT

Il 2 Febbraio si é tenuto presso la administration conference room dell'ISMETT un seminario che ha visto la partecipazione di illustri studiosi, famosi a livello internazionale per l'attività svolta nel campo della psichiatria e della ricerca scientifica. Sono intervenuti la Prof. Ellen Frenk, Ph.D. e docente di psichiatria e psicologia all'Università di Pittsburgh e UPMC, il Prof. Andrea Fagiolini, MD e associato di psichiatria all'Università di Siena ed il Prof. David J. Kupfer, MD e docente di psichiatria all'Università di Pittsburgh e UPMC. Gli interventi sono stati moderati dalla nostra Dott. Josephine G. Morana, responsabile del servizio di Psicologia dell'ISMETT. La prof. Frank ha descritto accuratamente l'attività svolta nel campo della ricerca. In particolare sono stati descritti i risultati di uno studio denominato “spectrum”, che ha consentito la messa a punto di specifici protocolli terapeutici, utili per il trattamento di molteplici disturbi psichiatrici e con un elevato livello di efficacia. L'intervento della prof. Frank ha messo in evidenza l'importanza del lavoro di equipe e delle sinergie derivanti da un lavoro congiunto di studiosi Toscani ed Americani, esportando il modello di Pittsburgh anche in Italia. L'intervento del Prof. Fagiolini ha ribadito ulteriormente questo concetto, avendo lui stesso svolto per un certo periodo l'attività di ricerca a Pittsburgh per poi trasferire tale esperienza all’attività svolta presso l'Università di Siena. L'intervento ha focalizzato l'attenzione sull'importanza di un approccio ecologico centrato sul benessere del paziente, considerando quindi l'importanza del contesto, dell'alimentazione e degli stili di vita in generale per la prevenzione e la conservazione della salute. Alcuni fattori di rischio per la salute fisica, come ad esempio l'obesità, sarebbero fattori facilitanti una eventuale diagnosi di tipo psichiatrico. Il Prof. Kupfer infine ha intrattenuto l’attento pubblico con una interessante letio magistralis dal titolo: "Neuroscience research at the University of Pittsburgh" descrivendo in modo chiaro ed accurato i nuovi sviluppi delle conoscenze acquisite nel campo delle neuroscienze, specificando i correlati neuronali di alcuni disturbi psichiatrici, come la schizofrenia. "Siamo aperti ai contributi di tutti" ha affermato il Prof. Kupfer, a proposito della sua attività volta all'implementazione del nuovo manuale DSM V. Momento quindi di alto livello scientifico e formativo all'ISMETT che ha visto la partecipazione oltre che del servizio di Psicologia, anche di buona parte del personale medico.
Francesco Greco
Ismett Psychology Resident
Leggi tutto...

lunedì 4 gennaio 2010

La valutazione psicologica per i trapianti d'organo - Terza parte

(Continua dalla Seconda parte). Bisogna inoltre far comprendere al paziente che questo momento non ha solo un valore valutativo, ma in realtà rappresenta un vero e proprio momento di confronto, grazie al quale può ricevere adeguate informazioni e può avere ben chiari quelli che sono i potenziali rischi del trapianto (o della donazione). Durante il colloquio vengono infatti fornite tali informazioni per verificare che il paziente possa decidere liberamente evitando eventuali coercizioni. Nodo centrale dell'analisi psicologica rimane comunque la valutazione dell'eventuale presenza di psicopatologia, compresi i disturbi di personalità (asse II del DSM) e il ritardo mentale. Una psicosi florida ad esempio, soprattutto se non compensata neanche dalla terapia farmacologica, rappresenta una controindicazione assoluta al trapianto e quindi all'inserimento in lista d'attesa. Anche una situazione di abuso e/o dipendenza da sostanze rappresenta una controindicazione assoluta. Altre situazioni invece, con un quadro diagnostico meno grave possono essere considerate controindicazioni relative, in quanto è possibile lavorare sul paziente. avvalendosi di psicoterapia cognitivo-comportamentale unita magari alla terapia farmacologica. Il lavoro dello psicologo non si esaurisce nel momento in cui avviene l'intervento chirurgico. Il paziente viene infatti seguito per tutto l'iter, compresa anche la fase post-operatoria (follow-up) ove vengono messi in atto interventi di supporto e un monitoraggio per rilevare l'eventuale insorgenza di problematiche post-trapianto. Spesso la terapia immunosoppressiva necessaria (l'utilizzo dei farmaci immunosoppressivi consente di raggiungere una tolleranza immunitaria e di ovviare alle problematiche legate al rigetto) può essere associata a un peggioramento del tono dell'umore, irritabilità o ansia. L'intero processo di valutazione, che comprende la fase pre trapianto e quella successiva all'intervento, può essere considerato come un vero e proprio piano di trattamento individuale, che persegue l'obiettivo finale di migliorare la qualità della vita del soggetto (QOL). La qualità del lavoro svolto è fondamentale quindi per scongiurare conseguenze significative per lo stato di salute futuro del paziente.Ridurre i fattori di rischio psicologico è un punto chiave per il successo del trapianto a lungo termine.

Francesco Greco

Leggi tutto...